In una società fortemente gerarchizzata come quella medievale, l’apparenza era il linguaggio con cui comunicare la propria identità e la propria condizione sociale. I colori, i tessuti e la foggia delle vesti dovevano mostrare lo status della persona, far riconoscere i simili e segnare distanze. Le tinte indossate non erano mai casuali, ma rispecchiavano un complesso apparato simbolico che ci è solo in parte noto e la competenza degli artigiani dell’epoca. La saturazione e la densità erano qualità essenziali nelle tinture. Come ricorda Michel Pastoureau, un colore per essere ritenuto bello nella sensibilità medievale doveva essere denso, luminoso e resistente contro gli effetti del sole, dei lavaggi e del tempo; di secondo piano erano invece le tonalità in cui si presentava. I contadini indossavano per lo più abiti non tinti o scuri. Nel tardo Medioevo le leggi suntuarie normavano i colori per i cittadini in base alla rispettiva posizione sociale. Anche se le regole variano da luogo a luogo, in genere possiamo dire che un buon cristiano non poteva usare colori troppo vistosi – lo stesso valeva per i sacerdoti, le vedove e i togati, cioè chi necessitava di un’estetica sobria – o abiti con motivi a righe o scacchi poiché giudicati immorali. Talvolta ad essere proibita era la materia colorante: se particolarmente costosa veniva riservata solo a persone di buona condizione. I colori erano adottati dai legislatori anche per rendere evidente chi era ai margini della società, prescrivendo infatti lo sfoggio di un segno distintivo (generalmente bianco, nero, rosso, giallo, verde in monocromia o bicromia) nell’abbigliamento quale marchio per chi non era un onesto cittadino. Questa attenzione verso i colori degli abiti da parte delle autorità rientrava in uno scopo più generale di mantenimento delle barriere tra i diversi ceti, chi osava vestire secondo una condizione diversa dalla propria era un turbamento per l’ordine sociale.
Tintori e tinture
Mestiere ritenuto indecoroso, quello del tintore era un mestiere che richiedeva, oltre a sensibilità artistica, salde competenze tecniche riguardanti la chimica dei pigmenti e le loro modalità di fissaggio. Ogni bottega e ogni città possedeva i segreti della professione. Nelle ricette pervenuteci notiamo una scrupolosa attenzione alla materia che si maneggiava: la scelta del giusto recipiente oppure di materie pure o impure, morte o vive era ritenuta essenziale per un buon risultato. Dal XIII secolo iniziarono ad apparire regolamenti con lo scopo di definire la professione, si delinea da questi testi un mestiere saldamente specializzato per colorante, per colore da ottenere oppure per tessuto da trattare.
Mordenzatura
Di tutti quei coloranti che avevano bisogno di un mordente minerale (l’allume potassico era il favorito poiché incolore) per potersi fissare alle fibre tessili si occupava la tintura d’arte maggiore. La mordenzatura è il termine con cui si identifica l’uso di un’ulteriore sostanza per far penetrare in profondità il colore.
Bruni, gigi e neri
Per raggiungere colorazioni brune, grigie e nere su stoffe di poco pregio, il loto (cioè la limatura di ferro, miscela prevalentemente di ossidi di ferro e ossidi magnetici) veniva unito a sostanze tanniche – quali cortecce, ghiande, radici e galle – nella cosiddetta arte minore. Tingere di nero fino alla metà del XIV secolo non era facile, i risultati erano poco soddisfacenti in quanto il colore teneva poco sul tessuto e non era luminoso. Inoltre, sfumava sempre su toni grigiastri-bruni o bluastri, in base se veniva usato un decotto di radici o cortecce oppure veniva dato un primo bagno di blu. Solo dalla metà del XIV secolo, grazie all’impiego sempre più frequente della noce di galla (prodotto molto caro che però era conosciuto per ottenere bei neri, era derivato da alcune querce dopo la deposizione delle uova da parte degli insetti) e all’affinamento delle tecniche fino ad allora conosciute, si poterono osservare neri più intensi e stabili. I bruni e i grigi potevano essere creati a partire da alberi come la quercia, l’ontano, il castagno e il noce, successivamente mordenzati con ossidi di ferro. A partire dal XV secolo anche il grigio divenne uniforme e luminoso, merito di nuove tecniche di mordenzatura e dell’aggiunta di solfati di ferro e noce di galla.
Blu
Dal XIII secolo, grazie alle innovazioni tintorie, fu possibile passare dai blu spenti e grigiastri del periodo precedente a tonalità più luminose. Una vasta gamma di azzurri (biavi) più o meno scuri si realizzava grazie all’arte comune, detta anche tintura a guado (pianta molto diffusa e il cui principio tintorio è l’indigotina). Le foglie di questa pianta venivano dapprima triturate e ridotte in masse, dopo un paio di settimane si lasciavano essiccare sotto forma di pani: da essi si procurava una polvere che, bagnata e lasciata fermentare, si trasformava infine in un’argilla, la quale, dopo un’ulteriore lavorazione era pronta per i bagni della tintura. Alessandrino, sbiadato e aerino erano alcune delle sfumature che si raggiungevano, scelte per lo più per i “fornimenti” da letto o per gli abiti delle classi più povere.
Rossi
Un colore che per essere realizzato necessitava di essere mordenzato è il rosso, il quale si ricavava principalmente dal chermes, verzino o brasile, robbia o garanza. Il chermes è una sostanza di importazione orientale ricavata dallo schiacciamento, successivo all’esposizione ai vapori di aceto e all’essiccazione, delle femmine di insetti della famiglia delle cocciniglie. A causa della faticosa lavorazione questo colorante era molto costoso, ma era anche la materia da cui si creavano i risultati migliori a livello di pienezza e saturazione del colore; per queste ragioni con esso si tingevano le stoffe di lusso. Dai medesimi insetti, nel Mediterraneo occidentale, si realizzava il grana, di resa inferiore. Cremisi, paonazzo, grana, rosato e vermiglio sono alcune delle sfumature che si potevano ottenere, nonché tra quelle più apprezzate. I tessuti rossi più stabili, luminosi e forti erano chiamati “scarlatti” (prima del XIII secolo il termine designava generalmente i panni costosi e
pregiati ma, visto che questi erano solitamente tinti con il chermes, il significato si è successivamente ristretto). Meno pregiati erano i rossi derivati dalla robbia e dal verzino, entrambi di origine vegetale: il primo si otteneva dalle radici di una pianta erbacea, dalle quali si ricavava una polvere sciolta successivamente in acqua; il secondo era il risultato della decomposizione di un particolare tipo di legno.
Verdi e viola
Di origine prevalentemente vegetale era il verde – ricavato da piante come la felce, l’ortica, la ginestra, la betulla -, il quale si poteva però raggiungere anche da sostanze minerali a base di rame, soprattutto per tingere vestiti in occasione di feste o tornei. Chimicamente instabile, il verde medievale appare spento e poco resistente, per questa ragione era riservato principalmente all’abbigliamento ordinario e contadino. L’unico modo per arrivare a verdi densi e saturi era attraverso dei bagni di blu e di giallo, i quali potevano essere solo sovrapposti ma mai mescolati. Mischiare colori diversi tra loro era infatti tabù (il giallo e il blu erano lavorati addirittura da tintori diversi), cambiare l’ordine voluto da Dio era un’attività considerata demoniaca. Per la medesima motivazione, il viola non era il risultato di una mescolanza tra blu e rosso, era creato bensì da dei bagni di nero e di blu. Dal XV secolo il viola assunse una colorazione più rossastra grazie a nuove tecniche e nuove materie coloranti. I viola chiari e i rosa vennero derivati dal legno di brasile, mentre per i toni scuri i tintori di rosso cominciarono a ottenere nuove tonalità grazie a bagni di guado e di robbia, non rispettando più i regolamenti professionali.
Simbologia e usi
Rosso
Colore oggi emblema dell’amore, anche nel Medioevo il rosso rimandava alla tenerezza e alla carnalità nelle relazioni. Un vestito rosso, di conseguenza, aveva l’intento di sedurre: Pastoureau ricorda, ad esempio, come durante i tornei la manica promessa dalla dama al vincitore (o donata al cavalier servente) era spesso di questa tonalità, a simboleggiare qualcosa in più oltre alla vittoria. Il rosso rimandava anche all’amore divino di Cristo per l’umanità, dato dal suo sangue versato sulla croce: questo è uno dei motivi – accanto all’originaria porpora senatoriale di reminiscenza classica – per cui il pontefice in questo periodo storico è caratterizzato da abiti e attributi di questo colore. Nella simbologia cristiana, il sangue ed il fuoco erano elementi associati al rosso: non solo il sangue di Gesù, ma anche quello delle vite spezzate dalla violenza degli uomini, peccatori che sfidano Dio; il rosso del fuoco era rigeneratore e purificatore se identificava l’intervento divino o lo Spirito Santo, si trasformava in traditore se individuava le fiamme dell’inferno e Satana. Il rosso era altresì il simbolo del potere. Imperatori, re, duchi, conti, baroni, il Papa, ma anche giudici e boia indossavano indumenti o abiti di tale colore come manifestazione della propria posizione. Anche i
nobili apprezzavano il rosso nelle vesti, considerato sia virile che femminile. Si trattava di un colore prestigioso, ricco di virtù secondo i trattati d’araldica – indicava nobiltà, onore, valore ed era situato ai primi posti della gerarchia dei colori –, veniva utilizzato dagli uomini per rendersi riconoscibili, quindi temibili o ammirabili, durante i tornei, la caccia o la guerra. Le donne invece lo concepivano come colore della bellezza e dell’amore. Le tinte rosse erano quelle predilette dalle classi agiate, usate in occasioni festive ma anche per decorare gli accessori (ad esempio le scarpe). In epoca feudale le colorazioni favorite erano luminose e vivaci, sul finire del Medioevo si preferirono, al contrario, sfumature più scure come il cremisi oppure tendenti al viola e al rosa; non apprezzati erano gli arancioni o i rossi che viravano al marrone. Nelle leggi suntuarie veniva prescritto a categorie ai margini della società per essere subito individuate (come prostitute, macellai, carnefici, lebbrosi, condannati, ebrei, musulmani), nei casi in cui veniva vietato in realtà si limitava l’utilizzo di rossi derivati dal chermes alla sola nobiltà.
Giallo
Come evidenziato da Pastoureau, il giallo cominciò ad acquistare significato con la nascita dei blasoni nel XII secolo. Questi ultimi concepivano il colore in maniera astratta e assoluta – ciò che era rilevante era l’idea di colore, pertanto varie sfumature potevano essere ricondotte alla stessa simbologia – e nel caso del giallo, esso era associato anche all’oro. Si creò così una duplice simbologia: se concepito come oro, il giallo era al vertice della gerarchia di colori, esprimeva nobiltà, coraggio e onore; se inteso come giallo comune, figurava generalmente dopo il rosso, il blu e il bianco. Dalla fine del XIII secolo il giallo comune divenne simbolo di declino e fu spesso associato alla malattia, ricordava infatti l’urina e la bile (nella medicina medievale la bile era un umore negativo, abbonda nei collerici, nei traditori e nei gelosi). Colore ritenuto ormai spento e sterile, la simbologia del giallo iniziò così a delinearsi negativamente. Alla fine del Medioevo identificava i peccati capitali di invidia e ira, oltre che una serie di vizi (gelosia, menzogna, ipocrisia, codardia, doppiezza, disonore, tradimento). Nell’iconografia cristiana, Giuda divenne riconoscibile in questo periodo grazie alla veste gialla (spesso bipartita con anche il verde, colore dell’avarizia), emblema del suo tradimento e della sua ebraicità. Per queste ragioni si trova spesso imposto nelle leggi suntuarie ai falsari, agli eretici e agli ebrei. Con lo scopo di rendere evidente la propria identità e quindi evitare matrimoni misti, vari simboli e colori vennero richiesti nell’abbigliamento dalle autorità cittadine agli ebrei, ma il giallo risulta essere il colore che si trova di più, configurandosi così come simbolo della marginalità e della condizione di giudeo.
Verde
Nel Medioevo l’ordinamento dei colori era bianco, giallo, rosso, verde, blu, viola, nero. Poiché situato al centro di questa gamma cromatica, il verde saturo era ritenuto bello, temperante, equilibrato e sereno. Ricco quindi di virtù, era particolarmente apprezzato nel 1200, secolo che
persegue il giusto mezzo. Ad amplificare tale simbologia è l’associazione di questo colore con il giardino, entro cui la società cortese del periodo vive momenti di riposo e di piacere. Il giardino era anche il luogo in cui i giovani si incontravano e dove nascevano gli amori, il verde divenne così anche il colore dell’adolescenza e degli amori immaturi, come ricordato da Pastoureau. Riflesso di ciò è la presenza, nei romanzi cavallereschi del tempo, di cavalieri simboleggiati dal colore verde: si tratta sempre di personaggi giovani che, con il proprio temperamento impaziente e vigoroso, cambiano gli equilibri della storia. In ambiente nobiliare sono i ragazzi e le ragazze a indossare dei capi verdi, quando le donne trovano marito esse tornano a vestirsi con tale colore durante il periodo della gravidanza. Vestirsi di verde in questi casi simboleggia la speranza di arrivare al matrimonio o di abbracciare il proprio bambino. Nell’iconografia cristiana, Santa Elisabetta è spesso dipinta con abiti verdi quando è in attesa di Giovanni Battista. Tutti quei toni di verde che, invece, erano spenti erano ritenuti mortiferi e maligni. Ricordavano la decomposizione, il diavolo (spesso raffigurato di verdastro) e il suo corteo – composto da coccodrilli, serpenti, draghi, rane e sirene –, creature soprannaturali appartenenti al folklore.
Blu
Il blu venne valorizzato a partire dal XII secolo grazie al suo uso sempre più frequente per rappresentare le vesti della Madonna. Adornata di colori scuri in segno di dolore per la morte del figlio, dal 1100 l’iconografia della Vergine predilesse invece tonalità bluastre più chiare e vivaci rispetto a quelle precedenti. I primi re ad adoperare tale colore nel proprio stemma e nel proprio abbigliamento furono i re di Francia, in omaggio alla madre di Cristo, protettrice del regno. Grazie a questi esempi, dal 1200 il blu iniziò ad essere rivalutato nella società e venne adottato, ad imitazione dei reali francesi, dai regnanti di tutta Europa (anche letterari, come è il caso di re Artù). Questo passaggio a colore principesco fu sicuramente anche una conseguenza delle nuove scoperte realizzate dai tintori, i quali riuscirono ad ottenere finalmente dei blu vivaci e saturi grazie al guado (prima del XII secolo era usato negli abiti da lavoro di contadini e artigiani poiché le tonalità che si raggiungevano erano slavate). Alla fine del Medioevo il blu sostituì in quasi tutto l’Occidente il rosso nel suo ruolo di simbolo di potere e di regalità, solamente il Papa e l’imperatore non alterarono il proprio codice cromatico. La moda del blu conquistò i signori e il suo utilizzo fu esente da qualsiasi opposizione, nelle leggi suntuarie di metà 1300, infatti, esso non viene citato né tra le tonalità vietate né tra quelle imposte.
Nero
Dall’anno 1000 in poi il nero è associato alle tenebre dell’inferno e al Diavolo, si configura come un colore negativo che decora gli abiti di chi è connesso con questo mondo. Tre secoli più tardi venne rivalutato cancellando parte di questa negatività grazie al suo utilizzo nei blasoni, cominciò inoltre ad essere indossato da giuristi e magistrati. Considerato ora austero e virtuoso, la nascente
amministrazione e l’autorità pubblica ne fecero il colore del proprio abito. La moda del nero si allargò successivamente ai professori universitari e a tutti coloro che erano maestri di un sapere, rimandando di conseguenza a una specifica morale civica. Questo equilibrio cambiò verso la seconda metà del XIV secolo, quando le leggi suntuarie emanate rivoluzionarono la moda di mercanti, banchieri e altri appartenenti al mondo degli affari. Emesse con il duplice scopo di controllare l’economia locale e salvaguardare l’ordine sociale, in esse questa fascia di popolazione, che si era arricchita ma che non deteneva titoli nobiliari, si vide negati abiti rossi tinti con il chermes (in Italia ad esempio i scarlatti veneziani), ora destinati unicamente a personaggi di alto lignaggio. La risposta a tale divieto fu la commissione di vesti pregiate tinte di nero – colore che rimandava anche a una ritrovata temperanza cristiana -, stratagemma che consentì a questi ricchi committenti di continuare a vestirsi secondo i propri gusti. Alla fine del 1300 l’austero nero venne adottato anche dai nobili e dai principi di tutta Europa. Alla fine del Medioevo il nero, come sottolineato da Muzzarelli, divenne un colore prestigioso, utilizzato a corte o durante eventi rilevanti.
Viola e grigio
Colore liturgico per i momenti di penitenza, dal XV secolo il viola si presentò con nuove sfumature, particolarmente apprezzate a corte per la somiglianza con l’antica porpora. Grazie alle innovazioni tintorie, anche il grigio venne rivalutato nello stesso periodo. Da colore delle tenute da lavoro e in generale di abiti ordinari e francescani, il grigio divenne simbolo di speranza e gioia, venendo adottato da principi e poeti.
Vesti bipartite
Le vesti bipartite o divisate possedevano una partitura generalmente verticale, una metà era di un colore o di un motivo ornamentale diverso dall’altra. Questa tipologia di abito poteva essere indossata sia da uomini che da donne e, se i colori appartenevano a uno stemma, essa esprimeva l’affiliazione della persona per un signore. In ambito araldico è frequente anche la partitura in quarti (tre quarti di un colore, un braccio e una parte del torace di un altro), usata da figli di nobili o guardie personali. Possiamo trovare la partitura in abiti, mantelli, cappucci e calze maschili fino al XV secolo. Le calze maschili erano spesso realizzate con questa tecnica: una gamba poteva avere colorazione diversa dall’altra oppure ognuna era decorata con due diversi colori, un’ulteriore divisione in quarti era possibile in prossimità del ginocchio. Nell’affresco raffigurante il ballo di Salomè di Taddeo Gaddi al Castello di Poppi si può osservare un esempio di veste femminile con partitura: al di sopra di un gonnello a righe, una sopravveste divisata per metà rossa e per metà a quadri copre Salomè (le maniche aderenti sono dello stesso tessuto della sopravveste, è possibile che facciano parte di essa oppure si tratta delle maniche del gonnello, aventi però stoffa differente).