Tessuti

Le competenze tessili dei nostri antenati erano assai più raffinate di quel che solitamente ci immaginiamo. Fin dall’antichità esistevano molte tipologie di tessuti diversi e di diverse pesantezze. Un elemento interessante da considerare secondo Paci Piccolo è la rete dei commerci che permetteva l’importazione di sete e lane da lavorare per rivenderle, una volta raffinate. Lucca importava la seta grezza e le materie tintorie più pregiate dall’Oriente e provvedeva a rivenderle sia verso Oriente che nelle grandi fiere della Champagne, le “Feriae Ultramontane”, mentre Francesco Datini, il mercante di Prato, importava lana da Maiorca e le rivendeva, una volta lavorate, sia in Italia che nella stessa Maiorca e Inghilterra. Altri mercanti fecero fortuna importando lana dall’Inghilterra o seta dalla Grecia e dalla Spagna, per rivenderle negli stessi luoghi di provenienza. Il cotone, in particolare, vista la produzione lontana dai centri italiani, fece sì che i mercanti italiani divenissero ponte tra i modi di produzione Islamici e quelli Occidentali, finendo per importare ed esportare ogni genere di mercanzia, dai tessuti alle conoscenze scientifiche. D’altro canto, come sottolinea Paci Piccolo, proprio il Trecento vede anche un aumento della produzione di seta, lana e lino locali, soprattutto per il mercato italiano, per abbassare il costo di trasporto e importazione, spesso sottoposti a dazi. Ad esempio, viene incrementata la produzione di materie tintorie locali, come il guado (pianta il cui principio tintorio è l’indigotina), soprattutto in Lombardia, Umbria e Marche, che vengono utilizzate sia per consumo interno che per esportazione. Ovviamente, il mercato del lusso non conosce questo tipo di problema, e materiali pregiati continueranno ad essere importati in Italia da ogni dove.

Lana Nel Duecento, l’uso della lana era diventato molto diffuso e contemporaneamente andava crescendo la quantità e la qualità di beni che il mercato era in grado di offrire agli appartenenti a un’area ristretta di privilegio. Le crescenti importazioni e la specializzazione degli artigiani contribuirono a offrire ai consumatori prodotti diversificati in quantità crescenti e sempre più elaborati. I panni di lana, come riporta Muzzarelli, si distinguevano in comuni, gentili e grisi (leggeri). Esisteva inoltre un panno chiamato schiavo, con cui si vestivano i frati, mentre la schiavina serviva a confezionare vesti da lavoro e coperte per i ricoveri. I tessuti di lana erano molto in uso, tanto quelli fini quanto quelli più spessi. Tra i panni più pregiati vanno citati gli scarlatti e i pavonazzi di lana, il cui nome derivava dal loro colore, il primo un rosso intenso e il secondo una tinta violacea. Secondo Paci Piccolo, i panni di lana potevano avere qualità molto diverse, dipendeva dalla lana d’origine, la cui qualità iniziale stabiliva anche il prezzo del panno finito, assieme alla tintura e alla follatura, i due processi principali di nobilitazione delle stoffe: il primo legato al costo e alla qualità delle materie tintorie, il secondo che regolava le dimensioni e la mano finale del tessuto.
Seta La crisi del commercio dei panni di lana che ebbe luogo nella seconda metà del Trecento favorì la diffusione dei centri produttivi di seta in Italia e la definizione di norme precise di fabbricazione della stessa. Nel 1230 ebbe luogo un’emigrazione da Verona a Bologna di artigiani tessili che ottennero particolari privilegi in cambio della diffusione dei modi di produzione in uso a Verona. In quegli stessi anni artigiani emigrati a Bologna da Lucca diffusero in città le loro conoscenze relative alla lavorazione della seta destinata a diventare in età moderna l’industria caratteristica e principale di Bologna. Anche il costume viene sottoposto a delle modifiche verso la metà del Trecento, questo perché vi fu un’ondata di vitalità da parte dei sopravvissuti alla peste nera. La voglia di vivere dopo lo scampato pericolo e le ricchezze ereditate dai definti, come sottolinea Muzzarelli, ebbero forse qualche influenza sulla domanda di generi di lusso che segnò il declino della lana e l’ascesa della seta. Vi è una crescente adozione di prodotti nuovi come stoffe più pregiate, maggiormente appetibili, dispendiose e capaci di compensare il calo di domanda con il costo più elevato. Il panno di seta liscio o lavorato era, insieme al panno d’oro e al velluto, molto usato dalle donne della nobiltà. A Milano nel 1341 furono impiantate fabbriche di drappi di seta e d’oro ma i tessitori erano ancora una minoranza. Tra i tessuti di seta più pregiati vi sono i diaspri e samiti (sciamiti), entrambi prodotti con tecniche di tessitura innovative che consentivano di realizzare anche disegni molto complessi. Come dice Ragghianti, è stato per lungo tempo sostenuto che la denominazione di diaspri derivi dal particolare tipo di tessitura con la quale erano eseguiti. Su un fondo compatto e lucido, il disegno si stende opaco. Alcune parti della decorazione assumono poi particolare risalto per la broccatura in oro oppure in argento. Sempre secondo Ragghianti, è probabile anche che l’appellativo “diaspro” si riferisca più precisamente al colore e al disegno della stoffa. Gli sciamiti sono anch’essi tessuti complessi, il cui effetto decorativo era ottenuto per mezzo di disegni a più colori. La parola compare ancora nello Statuto della Corte dei Mercanti di Lucca del 1376. I lampassi sono una variante degli sciamiti e anche in questo caso si usano armature diverse sullo stesso tessuto, con due tessuti uno per il fondo e uno per il disegno, consentendo motivi particolareggiati e più trame supplementari. Tra gli esempi riportati da Ragghianti nella sua rivista, si cita in particolare, un lampasso che oggi si trova nel Museo Storico del Tessuto di Lione, nel quale viene messo in evidenza la figura animale con la ricca broccatura in oro, sul fondo viene schiacciato l’elemento floreale che serve da spazio, in senso architettonico, alle singole scene ripetute e distanziate a intervalli dispari, mentre il colore appena differenziato dal fondo di due o tre toni e sottilmente lumeggiato di bianco, accenna soltanto i contorni della figurazione, salvo a dare una precisa indicazione direzionale con i piccoli fiori d’oro che legano il tema sottostante con il superiore. Fra i tessuti di seta più usati c’erano lo zendado (tela di seta leggerissima) adoperato soprattutto per foderare le maniche e lo zetanino, un raso orientale fabbricato in origine a Zayton e successivamente in Europa, in particolare a Milano, dove veniva tessuto lucido simile al broccato. A Firenze si fabbricavano invece zetani vellutati e il camocato, tessuto operato, anch’esso di origine orientale, caratterizzato dalla giustapposizione di motivi lucidi e opachi come il damasco (tessuto di seta molto pregiato, di colore unico con armatura a raso, caratterizzato dal contrasto di lucentezza tra il fondo e il disegno, cioè tra l’ordito e la trama; prodotto tipico, già nel dodicesimo secolo, della città di Damasco). Lo zambellotto era invece una seta più pesante che si usava per confezionare mantelli. Altra tipologia che ha grande successo, ma anche costi altissimi, è il velluto, la cui armatura base consentiva effetti decorativi molto raffinati, anche se assai difficili. I velluti italiani saranno tra le produzioni pregiate più esportate, costituendo vanto e occasione di potere dei mercanti che se ne occupano.
Cotone, lino, canapa Nel panorama delle produzioni tessili medievali, quella del cotone si differenzia per essere stata quella maggiormente indirizzata “alla produzione di beni di costo medio-basso per il consumo popolare, il cui profitto dipendeva pesantemente sul volume della produzione”. Il cotone, infatti, provvedeva un’alternativa ai lini (nella produzione dei veli, ad esempio) e alle lane di medio-basso costo, soprattutto flanelle (e infatti vi sono flanelle di lana e flanelle di cotone), oltre che per imbottiture (per farsetti, zuparelli e cuffie per elmi), nonché teli per l’abbigliamento e per la casa (imbottite e trapunte per il letto). Che l’uso del cotone facesse parte delle produzioni regolari ce lo dice il fatto che a Verona e Venezia, ad esempio, le corporazioni degli zuponerii o zaparii (fabbricanti di giubetti) producevano anche copriletto e imbottite di cotone, tuniche e cotte. La produzione di lino continua e si incrementa in molte zone, sia nazionali che estere. Il lino veniva maggiormente usato per la produzione di biancheria intima e per la casa, di livello medio-alto. La produzione di canapa incrementa in molte zone sia in Italia che all’estero. Essa veniva usata per la biancheria dei ceti popolari, imbottiture dei farsetti, le tele usate per le navi, grembiuli degli artigiani, produzioni delle funi da quelle per uso comune a quelle specializzate per le vele e l’uso nautico. Genova era il centro di grande produzione di canapa ad uso nautico.