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Studio & Ricerca

Metodologia

La nostra avventura nel mondo della rievocazione storica comincia più di 15 anni fa, con la stessa curiosità con cui ci siamo affacciati allora rimaniamo oggi.
Le domande che la ricostruzione ci pone sono sempre tante, anzi, stranamente, più ci addentriamo e comprendiamo questo mondo più sembrano moltiplicarsi.
La domanda principale è: cosa cerchiamo? Cosa cercano i rievocatori?
Un rievocatore cerca soprattutto di “far rivivere i gesti” e per farlo ha bisogno degli oggetti con cui questi gesti vengono compiuti: la scacchiera, la pentola, la spada, l’abito.
L’oggetto è il mediatore del gesto, quel gesto con cui noi cerchiamo di aprire un varco attraverso il tempo.
Ricostruire un oggetto, qualunque esso sia, richiede la scelta di un metodo, ovverossia una procedura tramite cui si arriva a un risultato.
Ragionamenti come “sono fatti benissimo, ma no, non ho nessuna fonte storica, ma potrebbe essere plausibile” non ci appartengono. Per la nostra associazione il risultato non è disgiungibile dal metodo, ed il metodo non prescindibile dal confronto con l’esistente, nel nostro caso: fonti archeologiche-iconografiche-documentarie e non solo.

È ovvio che in mancanza o scarsità di originali molto di ciò che noi ricostruiamo rientra nell’ “ipotesi ricostruttiva”, d’altronde non riteniamo che la quantità di reperti sopravvissuti fino i nostri giorni o che troviamo elencati nelle fonti, rappresenti la varietà di abiti esistenti nel periodo. Ad esempio sappiamo benissimo che le gamurre del 1400 sono fatte di tessuti e di modelli diversi ma, in realtà, solo un paio di esemplari sono arrivati ai giorni nostri; quindi la fonte archeologica è solo uno dei pilastri che abbiamo scelto di mettere a fondamento della nostra ricerca; gli altri due sono le fonti documentarie sopravvissute e ovviamente le fonti iconografiche: l’incrocio di questi tre tipi di documenti ci permette, pur nell’ambito dell’ipotesi ricostruttiva, di avvicinarci il più possibile a quello che erano le moda dell’epoca.

L’ultimo pilastro della nostra è metodologia di ricostruzione è la prova pratica, perché ogni ricerca si basa non solo su una tesi, ma anche su una sperimentazione e dimostrazione.
Gli abiti che noi ricostruiamo non sono pensati per essere esposti sul manichino ma sono pensati per essere “vissuti” e quindi devono essere sì belli, ma soprattutto funzionali.

Sappiamo che il numero di abiti posseduti dalle persone era infinitamente inferiore al nostro e di conseguenza questi abiti dovevano essere indossati più a lungo, per tutte le attività che venivano svolte durante la giornata.
Come rievocatori e rievocatrici noi lo proviamo sul campo, durante le manifestazioni, che possono essere più o meno di breve durata, dove noi donne giochiamo, cuciniamo, corriamo su e giù per il campo, portiamo litri e litri di acqua fresca ai bordi dei campi di battaglia e dobbiamo essere in grado di alzare paioli pieni d’acqua o le griglie su cui arrostiamo. In questi giorni è importante che i nostri veli rimangano ben fermi in capo, le scarpe non ci facciamo scivolare, le maniche per quanto aderenti farci lavorare, le nostre gonne ampie e lunghe non ci intralcino intorno ai fuochi.
Oppure esperienze che possono essere più lunghe come quella che abbiamo deciso di affrontare un paio di anni fa, ovvero il Cammino di Santiago di Compostela, dove, per 40 giorni abbiamo vissuto utilizzando fedeli ricostruzioni di oggetti del XIV sec.

Perché in realtà i veri soggetti della rievocazione storica siamo noi rievocatori e come ci poniamo nei confronti di questa esperienza. Anche il vestito ricostruito secondo le metodologie più approfondite, se portato male e indossato con accessori incongrui, appare fuori posto.
In un periodo in cui più che mai “l’abito fa il monaco, il mercante, la dama” è auspicabile che il revocatore cerchi non solo le regole del backgammon sul libro dei giochi di Alfonso I, ma anche l’atteggiamento mentale e culturale corretto, questa è la vera sfida.
Vestirsi come un uomo o una donna del medioevo comunale italiano, come un dottore bolognese, come una magistra toscana è solo un primo passo per cercare di capire l’intricata trama dei rapporti sociali, dei valori e dei comportamenti che ne conseguivano.
La rievocazione e la ricostruzione storica sono un bellissimo viaggio di ricerca, più la ricerca sarà approfondita più si potrà godere dell’avventura.
Questa è la strada che noi abbiamo scelto di percorrere.

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Studio & Ricerca

Donna Zanna

Nel corso del nostro viaggio all’interno della ricostruzione siamo inciampati in qualcosa di meraviglioso che ci ha affascinato: le persone vere.
La decisione di ricostruire un abito, in seguito ad un invito della Compagnia delle 13 Porte e dell’Archivio di Stato di Bologna, ci ha portato a confrontarci proprio con una persona vera. Una persona che una mattina è uscita di casa, probabilmente con la sua fantesca, con il suo abito ricchissimo ed è andata a farlo bollare, nella sua parrocchia, dal notaio del Comune. Così ci siamo imbattuti nei divieti delle leggi suntuarie e nelle astuzie per raggirarli, negli elenchi di abiti che uscivano dai cassoni e soprattutto, nei registri delle vesti. Ed è lì che abbiamo incontrato Donna Zanna e la sua veste, i suoi concittadini e concittadine bolognesi e di tantissime altre città.

L’abito ora non è più un oggetto raffigurato in un quadro, indossato da qualcuno con le sue forme e con i suoi colori, ma un oggetto che esce dall’arida descrizione di inventario notarile, la proprietaria, Donna Zanna, ora è una donna come noi con i suoi desideri con i suoi problemi ma con quest’abito da sogno.
Questo pensiero l’ha resa subito più reale e abbiamo iniziato a chiederci come sarebbe stato questo abito che sfidava le leggi bolognesi del 1401, come sarebbero stati i “ricami dorati” descritti dal notaio sui “manegotti affrappati“.

La descrizione riportata sul registro è abbastanza precisa e recita:
77) Domina Zanna uxor Petri Dominici merzarii presentavit unam cottam panni roseati cum tribus cordelis iuxta pedes ac perfilo de vario, cum maspilis fili argentei ac duobus manegotis afrapatis et aliquo filo aureo intermistis, capelle Sancti Yoxep
77)  Donna Zanna moglie di Pietro Domenico merciaio presentò una città di panno rosato  con tre cordelle all’altezza dei piedi e profilato in vaio, con bottoni di filo d’argento e due manegotti frappati e ornati di filo d’oro, Cappella di San Giuseppe

dalla lettura del testo abbiamo cominciato a cercare immagini e descrizioni che potessero rispondere alle nostre domande e ne abbiamo trovate tante.
Come per ogni viaggio, dopo essersi documentati, aver deciso la destinazione e la strada da percorrere non ci restava che procurarci il necessario; abbiamo cominciato con il cercare la stoffa, scegliendo un bel panno di lana italiana, tessuto meccanicamente dalle manifatture del biellese, tinta di un raffinato color rosa cipria. Per la fodera abbiamo deciso per un cotone color indaco e panno di lana color panna per i “manegotti”. Nel Registro delle Vesti Bollate l’abito di Donna Zanna è descritto con un bordo di pelliccia e, coerenti con la scelta etica della nostra associazione di non usare pelliccia vera a meno che non sia pelliccia riciclata, abbiamo creato il bordo utilizzando pelliccia ecologica.
Infine, filo di seta rosa e filo dorato per tessere le tre cordelle che la descrizione dell’abito cita all’altezza dei piedi.
Cosa restava da fare? Semplicemente partire…