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“Abiti storici e teatrali, dalle corti al palcoscenico”

Nata dalla collaborazione tra le associazione Gilda Historiae, Antica Massa Cybea, Scholé Mondi Possibili  e allestita nella seicentesca villa La Rinchiostra a Massa, si è conclusa con successo ed un grande affluenza di pubblico la mostra ” Abiti storici e teatrali, dalle corti al palcoscenico”.

La mostra, articolata in due sezioni ben distinte tra abiti di ricostruzione storica dal XIV al XVI secolo  e del costume teatrale, ha permesso non solo di mostrare i più importanti cambiamenti estetici e strutturali nella moda tra varie le epoche, ma anche le sostanziali ed essenziali differenze tra gli abiti di ricostruzione storica, vincolati al rigore delle fonti ed  il costume da palcoscenico più libero di essere interpretato come idea creativa.

Ipotesi di ricostruzione abiti del XVI sec.
Costumi teatrali per la rappresentazione della tragedia Antigone.
Ipotesi di ricostruzione di abito dall’affresco di Castel Roncolo BZ
Costumi teatrali per la rappresentazione della tragedia Elettra

Nel percorso della mostra il pubblico è stato accompagnato dalla narrazione, non solo iconografica ma anche verbale dei periodi storici trattati, di come nascono gli abiti di ipotesi di ricostruzione storica e  di come si basino su fonti  accertate, documentali, iconografiche e da reperto archeologico; ricostruiti per rappresentare se stessi e le epoche e i luoghi a cui si riferiscono,  di quanto debbano essere vincolati  a rappresentazioni realistiche e all’uso di tessuti  e accessori il più possibile coevi al loro tempo e luogo, dell’ uso che ne viene fatto alle manifestazioni di living history.

Nelle sale dedicate al XV e XVI secolo sono stati esposti gli abiti e gli accessori di ricostruzione che vengono indossati per la rappresentazione di danze storiche dell’associazione Antica Massa Cybea. Qui è stato possibile dimostrare la funzionalità degli abiti, che nell’ipotesi ricostruttiva non hanno subito modifiche strutturali dall’ iconografia e dai reperti da cui sono stati tratti.

Durante la mostra è stato presentato il libro “Rievocare” edito dal Festival del Medioevo nel 2021.

Presentazione del libro Rievocare.

Videoreportage sulla mostra:

https://www.facebook.com/GiuseppeJohCapozzolo/videos/304645581737199

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Con portamento

„[…] Guarda la forma di questa rosa, guarda il portamento, guarda le sfumature, le venature di questi petali, guarda quella stria rossa; e senti che odore, adesso! E lascia star la filosofia.» «Lei è nemico della filosofia?», osservò il professore, sorridendo. «Io sono amico», rispose Franco, «della filosofia facile e sicura che m’insegnano anche le rose.“

Antonio Fogazzaro,

Come appassionati di storia e ricostruttori, attraverso gli eventi a cui partecipiamo, cerchiamo di condividere le nostre conoscenze e ipotesi su di essa. La maggior parte di noi ricostruttori non ha alla base studi specialistici ma questo non significa non essere seriamente preparati, qualche volta però, pur avendo un importante bagaglio di nozioni manca una certa consapevolezza di ciò che si sta facendo.

Allestire un campo, con tende, velario, belle tavole apparecchiate è importante; ricostruire  armi e armature e abiti perché siano oltre che storicamente corretti anche  funzionali però non basta. Nel nostro rievocare queste “cose” non sono semplicemente oggetti in esposizione o accessori da sfilata ma hanno la necessità di raccontare e di raccontarsi e noi siamo il mezzo per farlo.

Chi partecipa come spettatore alle rievocazioni si aspetta in ogni caso di vedere la storia e noi d’altra parte facciamo il più possibile per riviverla non come attori su un palcoscenico ma come persone vere.

Per i ricostruttori indossare un abito storico non è solo indossare un bel vestito con i suoi accessori ma è farlo vivere, integrandolo con ciò che ci circonda per creare un atmosfera non solo bella ed esplicativa ma anche emozionale, è qui che entra in gioco la consapevolezza, perché  quando siamo ad un evento di ricostruzione dobbiamo essere consapevoli anche di come ci muoviamo nei nostri abiti storici perché sarà sopratutto quello ciò che raccontiamo.

Oggigiorno sopratutto noi donne non siamo abituate far caso a come ci sediamo, a come raccogliamo qualcosa per terra, a come ci relazioniamo con gli oggetti che abbiamo intorno perchè la nostra emancipazione e i nostri abiti ce lo permettono. Pensare alla gestualità e al comportamento, vale anche per gli uomini , è relativo, a meno che non si indossino gonne corte o molto aderenti e anche qui è relativo quanto ce ne importi, ma in rievocazione tutto questo ha un peso diverso, e qui, torna la consapevolezza.

Nel medioevo le convenzioni sociali e morali erano importanti e non venivano messe in discussione. Se una donna onesta doveva portare il capo coperto lo faceva e basta senza tante polemiche sulla temperatura o il fastidio che cuffie e veli potessero apportare; anche gli uomini per bene portavano cuffie e cappelli e di certo non si sedevano a tavola con i loro ospiti o i loro signori in camicia e braghe. Questo modo di comportarsi in fondo non cambia molto dal nostro contemporaneo, andreste forse a cena a casa del vostro capo in intimo oppure, al ristorante vi piacerebbe essere serviti a tavola da un cameriere in mutande?

E’ anche vero che la regola più importante quando si tratta di mettere in pratica una passione è stare bene e divertirsi, quindi come possiamo presentarci nel modo più corretto possibile senza correre il rischio di sembrare goffe, rigide o impacciate o pensare troppo e perderci il divertimento? La risposta è più semplice di quanto si possa pensare, semplicemente giocando!

 Impariamo a giocare con i nostri abiti, con i nostri veli, lasciamo che siano loro a guidarci e il nostro corpo assumerà posture e movimenti di conseguenza.  

Partendo dal presupposto che l’abito sia ben fatto, perchè un abito, un velo, un mantello ben fatti sono anche funzionali, il modo di indossarlo sarà semplice, basterà infatti lasciarsi guidare dall’abito stesso. Un abito ampio, lascerà spazio sufficiente alle gambe di muoversi in maniera fluida, lasciando la possibilità al piede di portare avanti l’orlo per non inciampare, magari i passi saranno più piccoli e meno veloci main fondo le signore dovevano pur farsi ammirare e per questo serve tempo. Lo stesso abito darà la possibilità di sollevare leggermente la veste per salire una scala o per scavalcare una panca senza che questa debba essere sollevata fino all’inguine.   

 Nel medioevo vita era forse più pratica per alcuni aspetti,  non correva veloce e frenetica come per noi adesso ma era scandita da altri ritmi, ritmi che è importante e piacevole recuperare durante le rievocazioni. Se è vero che rievocando dobbiamo sottostare a regole non scritte nel presente, non dobbiamo dimenticare che nel passato queste regole erano ben chiare e precise.                    

Interagire con il pubblico per un ricostruttore è importante, spesso ci vengono chieste spiegazioni su cosa indossiamo e perchè lo indossiamo e alcune volte ci troviamo di fronte  ad un pubblico che fuorviato da eventi cinematografici, dai social, da eventi di spettacolo che si ispirano ad un  medioevo fantastico di invenzione ottocentesca,  hanno un loro idea di come dovrebbero essere le cose.   L’interazione con il pubblico per un ricostruttore è solitamente più didattica e descrittiva, diversa da quella che si può creare in altri eventi inspirati alla storia come possono essere palii, giostre, e giochi di contrada, per questo è importante ricordarsi che appena si indossa il proprio abito storico si entra fisicamente in uno spazio temporale diverso e i nostro comportamento dovrà adattarsi ad esso, perché  fare ricostruzione storica non è solo un gioco ma anche una responsabilità.

Divertire, divertirsi e fare rievocazione di buon livello è possibile

Foto: IMPRESSUM.photography|Sara Colciago https://www.facebook.com/celia.impressum

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Il Roncolino

Nella nostra associazione capita che nel progetto di ricostruzione di un abito, un ricamo, una passamaneria -sia nel momento di studio che nel realizzazione vera e propria- di inventare affettuosi nomignoli con cui chiamiamo l’oggetto del nostro lavoro. Fino ad oggi non abbiamo mai fatto caso a questa consuetudine, dando per scontato che fosse una prassi dettata dalla praticità e dal divertimento che troviamo nel nostro lavoro. In realtà soffermandomi un attimo a pensare da dove nasce quest’abitudine mi rendo conto che essa non è dettata dalla praticità, ma dall’entusiasmo  di entrare in confidenza  con la nostra ricerca e la sua realizzazione.

Il Roncolino, è il nome con cui chiamiamo l’abito realizzato sullo studio  di una particolare figura femminile presente nei famosi affreschi della Stua da Bagno di Castel Roncolo a Bolzano.

La scelta di lavorare proprio su questo abito è stata dettata da motivazioni personali intriganti e divertenti, che non spiegheremo qui perchè è giusto che restino nel mistero, come ad oggi resta nel mistero il vero uso della Stua da Bagno di Castel Roncolo. Quello che possiamo dire è che fin da subito questo modello ha rappresentato ciò che a noi piace molto, una sfida.

Schloss Runkelstein, in italiano Castel Roncolo, è soprannominato “Il maniero illustrato” proprio perchè conserva il più ampio ciclo di affreschi di epoca medioevale. Costruito nel 1237 dai fratelli von Wange fu acquistato più di un secolo dopo da altri due fratelli, Niklaus e Franz Vintler, appartenenti ad una ricca famiglia di commercianti di Bolzano, che lo fecero affrescare con soggetti di carattere profano; gli affreschi risalgono al 1388 circa e gli autori restano, ad oggi, ignoti.                  

 Il primo passo per realizzare Il Roncolino è stato proprio il confrontare e confrontarsi sulle le fonti iconografiche sui colori da utilizzare, le fotografie non sempre riportano i colori corretti e per quanto gli affreschi siano ben conservati non è stato semplice decidere quali utilizzare. In questo ci è venuta in aiuto la nostra amica Marina Mascher, ovvero Adelheid von Schenna Signora del Gruppo Starkenberg, che conosce bene il castello e i suoi tesori e ci ha accuratamente descritto gli affreschi con un attento esame dal vivo.

Confrontare il nuovo progetto con altri modelli dell’epoca ci ha fatto scartare l’ipotesi che la parte anteriore sinistra fosse di un unico colore rosso, come poteva sembrare dalle proporzioni dell’immagine. Sempre in fase di studio dell’immagine escludendo tessuti in seta o altri tipo di tessuti damascati, ovviamente i velluti non sono stati neppure presi in considerazione, abbiamo deciso di utilizzare tessuti in lana.  Il passo successivo è stato misurare e disegnare le parti dell’abito e sopratutto decidere le proporzioni dei pezzi –che sono 10 per vestito, 10 per le maniche e 16 per i polsi–  è stato un passo fondamentale per ricreare la giusta armonia tra le parti.

Una volta disegnato il progetto su carta, abbiamo cominciato a cercare la lana, avevamo già deciso che sarebbe stato realizzato in panno di lana leggera, e qui è cominciata la vera e propria odissea! Trovare un buon tessuto in pura lana non è semplice di per se, trovarlo in 5 diversi colori precisi poi. Dopo molte ricerche abbiamo trovato il materiale, ed eravamo anche soddisfatte, ma si sa che quando ti piace fare e sopratutto ti piace fare al meglio, anche il più piccolo dettaglio che non ti convince ti ronza in testa e ti tormenta… allora parte la videochiamata di gruppo, “Ragazze è da ieri che ci penso, il rosa è troppo pallido e il dorato vira troppo al verde. Non sono convinta”  e, a sottolineare la sintonia in cui Gilda Historiae lavora, ti senti rispondere “Si, ho già tinto e corretto il tessuto dorato e creato il rosa più intenso”. Una volta  definiti i colori abbiamo realizzato il modello in scala, con il tessuto stesso, per meglio renderci conto della resa e vestibilità.

Dopo aver tagliato e assemblato le varie parti abbiamo deciso di applicare  un bordo in tubolar selvedge sulla parte rossa dell’apertura anteriore, questo per dare rinforzo all’attaccatura dei bottoni che abbiamo realizzato in perle di fiume naturale.

Una delle particolarità degli abiti rappresentati negli affreschi di Castel Roncolo, e in altri dipinti e miniature del periodo, è lo scollo particolarmente ampio che lascia le spalle molto scoperte facendo si che le spalline che non superano i 2/3 cm di altezza si trovino a sostenere tutto il peso dell’abito appoggiando solo sugli omeri.  Ci siamo a lungo interrogate su come poteva funzionare questa scollatura, che doveva essere ampia ma funzionale, per non lasciare la dama nuda al minimo movimento. Analizzando le immagini abbiamo notato che in tutti gli abiti rappresentai con una scollatura simile presentavano un bordo, ovviamente diverso nel colore, ma sempre presente. Questo ci ha fatto ipotizzare  una particolare costruzione dello stesso, che si è rivelata essere un bordo tessuto a tavolette. Per assolvere al meglio il suo compito di dare struttura e sostegno e che impedisca all’abito di scivolare oltre la spalla, il bordo è stato tessuto direttamente sull’abito seguendo il disegno della scollatura. Questo metodo di tessitura implica una serie di aumenti e diminuzioni nella banda. Per mantenere omogeneità nella grafica della tessitura abbiamo scelto un disegno a strisce in rilievo che ci ha permesso di nascondere bene aumenti e diminuzioni dei punti. Il bordo è stato realizzato in filo di seta giallo dorato.

Il Roncolino oltre che ad essere bello è comodo e pratico, la prova sul campo è stata durante uno dei pochissimi eventi di questa stagione, la rievocazione Villafranca nella Storia presso il Castello Scaligero di Villafranca di Verona.Per quanto sia aderente, come si può vedere dalle foto, l’abito è estremamente funzionale e permette la massima libertà di movimento.

Seppure con un sottile velo di malinconia per tutte le cose che questo 2020 non ci ha premesso di fare come le rievocazioni saltate e gli incontri mancati, indossarlo è stato emozionante.

 Il Roncolino resta una della cose belle di quest’anno difficile. Per quello che ci riguarda anche questa sfida l’abbiamo vinta e non vediamo l’ora di cominciarne altre, perchè, per  fortuna, anche nei momenti difficili possiamo continuare studiare e imparare.

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Metodologia

La nostra avventura nel mondo della rievocazione storica comincia più di 15 anni fa, con la stessa curiosità con cui ci siamo affacciati allora rimaniamo oggi.
Le domande che la ricostruzione ci pone sono sempre tante, anzi, stranamente, più ci addentriamo e comprendiamo questo mondo più sembrano moltiplicarsi.
La domanda principale è: cosa cerchiamo? Cosa cercano i rievocatori?
Un rievocatore cerca soprattutto di “far rivivere i gesti” e per farlo ha bisogno degli oggetti con cui questi gesti vengono compiuti: la scacchiera, la pentola, la spada, l’abito.
L’oggetto è il mediatore del gesto, quel gesto con cui noi cerchiamo di aprire un varco attraverso il tempo.
Ricostruire un oggetto, qualunque esso sia, richiede la scelta di un metodo, ovverossia una procedura tramite cui si arriva a un risultato.
Ragionamenti come “sono fatti benissimo, ma no, non ho nessuna fonte storica, ma potrebbe essere plausibile” non ci appartengono. Per la nostra associazione il risultato non è disgiungibile dal metodo, ed il metodo non prescindibile dal confronto con l’esistente, nel nostro caso: fonti archeologiche-iconografiche-documentarie e non solo.

È ovvio che in mancanza o scarsità di originali molto di ciò che noi ricostruiamo rientra nell’ “ipotesi ricostruttiva”, d’altronde non riteniamo che la quantità di reperti sopravvissuti fino i nostri giorni o che troviamo elencati nelle fonti, rappresenti la varietà di abiti esistenti nel periodo. Ad esempio sappiamo benissimo che le gamurre del 1400 sono fatte di tessuti e di modelli diversi ma, in realtà, solo un paio di esemplari sono arrivati ai giorni nostri; quindi la fonte archeologica è solo uno dei pilastri che abbiamo scelto di mettere a fondamento della nostra ricerca; gli altri due sono le fonti documentarie sopravvissute e ovviamente le fonti iconografiche: l’incrocio di questi tre tipi di documenti ci permette, pur nell’ambito dell’ipotesi ricostruttiva, di avvicinarci il più possibile a quello che erano le moda dell’epoca.

L’ultimo pilastro della nostra è metodologia di ricostruzione è la prova pratica, perché ogni ricerca si basa non solo su una tesi, ma anche su una sperimentazione e dimostrazione.
Gli abiti che noi ricostruiamo non sono pensati per essere esposti sul manichino ma sono pensati per essere “vissuti” e quindi devono essere sì belli, ma soprattutto funzionali.

Sappiamo che il numero di abiti posseduti dalle persone era infinitamente inferiore al nostro e di conseguenza questi abiti dovevano essere indossati più a lungo, per tutte le attività che venivano svolte durante la giornata.
Come rievocatori e rievocatrici noi lo proviamo sul campo, durante le manifestazioni, che possono essere più o meno di breve durata, dove noi donne giochiamo, cuciniamo, corriamo su e giù per il campo, portiamo litri e litri di acqua fresca ai bordi dei campi di battaglia e dobbiamo essere in grado di alzare paioli pieni d’acqua o le griglie su cui arrostiamo. In questi giorni è importante che i nostri veli rimangano ben fermi in capo, le scarpe non ci facciamo scivolare, le maniche per quanto aderenti farci lavorare, le nostre gonne ampie e lunghe non ci intralcino intorno ai fuochi.
Oppure esperienze che possono essere più lunghe come quella che abbiamo deciso di affrontare un paio di anni fa, ovvero il Cammino di Santiago di Compostela, dove, per 40 giorni abbiamo vissuto utilizzando fedeli ricostruzioni di oggetti del XIV sec.

Perché in realtà i veri soggetti della rievocazione storica siamo noi rievocatori e come ci poniamo nei confronti di questa esperienza. Anche il vestito ricostruito secondo le metodologie più approfondite, se portato male e indossato con accessori incongrui, appare fuori posto.
In un periodo in cui più che mai “l’abito fa il monaco, il mercante, la dama” è auspicabile che il revocatore cerchi non solo le regole del backgammon sul libro dei giochi di Alfonso I, ma anche l’atteggiamento mentale e culturale corretto, questa è la vera sfida.
Vestirsi come un uomo o una donna del medioevo comunale italiano, come un dottore bolognese, come una magistra toscana è solo un primo passo per cercare di capire l’intricata trama dei rapporti sociali, dei valori e dei comportamenti che ne conseguivano.
La rievocazione e la ricostruzione storica sono un bellissimo viaggio di ricerca, più la ricerca sarà approfondita più si potrà godere dell’avventura.
Questa è la strada che noi abbiamo scelto di percorrere.

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Donna Zanna

Nel corso del nostro viaggio all’interno della ricostruzione siamo inciampati in qualcosa di meraviglioso che ci ha affascinato: le persone vere.
La decisione di ricostruire un abito, in seguito ad un invito della Compagnia delle 13 Porte e dell’Archivio di Stato di Bologna, ci ha portato a confrontarci proprio con una persona vera. Una persona che una mattina è uscita di casa, probabilmente con la sua fantesca, con il suo abito ricchissimo ed è andata a farlo bollare, nella sua parrocchia, dal notaio del Comune. Così ci siamo imbattuti nei divieti delle leggi suntuarie e nelle astuzie per raggirarli, negli elenchi di abiti che uscivano dai cassoni e soprattutto, nei registri delle vesti. Ed è lì che abbiamo incontrato Donna Zanna e la sua veste, i suoi concittadini e concittadine bolognesi e di tantissime altre città.

L’abito ora non è più un oggetto raffigurato in un quadro, indossato da qualcuno con le sue forme e con i suoi colori, ma un oggetto che esce dall’arida descrizione di inventario notarile, la proprietaria, Donna Zanna, ora è una donna come noi con i suoi desideri con i suoi problemi ma con quest’abito da sogno.
Questo pensiero l’ha resa subito più reale e abbiamo iniziato a chiederci come sarebbe stato questo abito che sfidava le leggi bolognesi del 1401, come sarebbero stati i “ricami dorati” descritti dal notaio sui “manegotti affrappati“.

La descrizione riportata sul registro è abbastanza precisa e recita:
77) Domina Zanna uxor Petri Dominici merzarii presentavit unam cottam panni roseati cum tribus cordelis iuxta pedes ac perfilo de vario, cum maspilis fili argentei ac duobus manegotis afrapatis et aliquo filo aureo intermistis, capelle Sancti Yoxep
77)  Donna Zanna moglie di Pietro Domenico merciaio presentò una città di panno rosato  con tre cordelle all’altezza dei piedi e profilato in vaio, con bottoni di filo d’argento e due manegotti frappati e ornati di filo d’oro, Cappella di San Giuseppe

dalla lettura del testo abbiamo cominciato a cercare immagini e descrizioni che potessero rispondere alle nostre domande e ne abbiamo trovate tante.
Come per ogni viaggio, dopo essersi documentati, aver deciso la destinazione e la strada da percorrere non ci restava che procurarci il necessario; abbiamo cominciato con il cercare la stoffa, scegliendo un bel panno di lana italiana, tessuto meccanicamente dalle manifatture del biellese, tinta di un raffinato color rosa cipria. Per la fodera abbiamo deciso per un cotone color indaco e panno di lana color panna per i “manegotti”. Nel Registro delle Vesti Bollate l’abito di Donna Zanna è descritto con un bordo di pelliccia e, coerenti con la scelta etica della nostra associazione di non usare pelliccia vera a meno che non sia pelliccia riciclata, abbiamo creato il bordo utilizzando pelliccia ecologica.
Infine, filo di seta rosa e filo dorato per tessere le tre cordelle che la descrizione dell’abito cita all’altezza dei piedi.
Cosa restava da fare? Semplicemente partire…